San Romedio – Niente di più vero

La visita al santuario di San Romedio, non può lasciare indifferenti. La fede cieca nei confronti dell’eremita che ha domato gli orsi va oltre la cristianità e la religione. La religiosità avvolge chiunque, dai credenti convinti agli atei. E’ un luogo autentico, che emoziona anche chi non sembrerebbe capace di emozionarsi e riscalda anche i cuori più freddi. 

Bastano la sua posizione ardita e l’arte che conserva al suo interno a stupire gli occhi di tutti!

Se lo si raggiunge da Sanzeno lo stupore è doppio: passato il mulino si entra nella stretta gola, che si inoltra verso il massiccio del Monte Roen, nascondendo a tutti cosa vi sia intorno. Restano soltanto l’uomo, il bosco e le pareti rocciose.

Se si giunge a piedi il fascino è già in crescendo per via dello straordinario sentiero a picco, attrezzato dove un tempo stava un acquedotto. Il santuario si intravede a malapena. Poi si scende a valle e dal fondo della gola si risale in cima alla rupe. Ecco che pian piano l’edificio dalle geometrie impossibili compare dietro gli alberi.

Situato su un ripido sperone di roccia e costituito da sei chiese costruite nell’arco di oltre un millennio unite tra loro dai 130 gradini di una spettacolare scalinata, è visitato annualmente da circa 200.000 pellegrini ed è uno dei luoghi più conosciuti di tutto il Trentino per la sua spettacolarità.

E se il fascino ingenuo di un edificio così spettacolare non vi basta, giunge in soccorso lo scrigno d’arte che l’eremo rappresenta. Già ben oltre mille anni fa, l’uomo è stato capace di scalare la rupe e costruire la prima chiesa in cima allo sperone, dove un tempo risiedeva l’eremita Romedio. E fin da subito è stato anche capace di farne un’opera d’arte. E’ commovente pensare quali risultati ha prodotto una semplice ma sincera devozione per un santo.

La cappella di San Giorgio

Partendo dal basso si incontrano le prime due cappelle: quella a destra (la più recente) fu costruita nel primo dopoguerra per i caduti, quella a sinistra, dedicata a S.Giorgio e costruita nel 1489, conserva stupendi affreschi rinascimentali.

Proseguendo nella scalata si entra all’interno del santuario vero e proprio. A fianco della scala sempre più ripida, le pareti brulicano di ex-voto e lasciano ancora una volte stupefatti tutti. Il culto (in senso lato) che questo luogo promano coinvolge chiunque e forse è sufficiente a convincere qualche agnostico. Il fiato corto è questa strana sensazione di presenza divina sono un’esperienza che lascia il segno. Se ci si ricorda qualcosa della visita al santuario, la scalata è sicuramente la prima della lista.

Ecco che si incontra la chiesa di San Michele, costruita nel 1513 in stile gotico su ordine dei conti Thun, con resti di affreschi.

La chiesa di San Michele

Poco più su si entra nella Cappella Maggiore ricostruita nel 1536 ed affrescata nel tardo rinascimento, dove si trova anche la grata che si apre sulla grotta dell’eremita. A fianco della porta d’ingresso si trovano resti di affreschi pre-romanici (X secolo), nonché uno due prezzi più pregiati: il portale di Aricarda, costruito intorno all’anno Mille.

Portale di Aricarda

Da esso si accede ai primi luoghi di culto paleocristiani. In particolare si entra in un primo ambiente semi-rupestre(chiesa di S.Vigilio) affrescato nell’alto-medioevo e poi nel ‘600. Da qua si accede al sacello di San Romedio, la parte più antica del santuario in cui si conservano le reliquie. Risale forse addirittura al VII secolo: presenta una pianta basilicale formata da 3 navatelle, individuate da due colonne paleocristiane. Anche qui si conservano affreschi che spaziano dal X al XIII secolo.

La chiesa di San Vigilio e l’ingresso al sacello

La basilichetta paleocristiana di San Romedio (in fondo le reliquie di San Romedio)

Proseguendo la salita, resta l’ultima sorpresa di un breve, ma intenso itinerario. Si giunge ad un portone di legno che si apre sulla terrazza che offre la possibilità di affacciarsi sullo sperone roccioso, da cui si gode uno stupendo panorama sulla gola di San Romedio. E da qui si capisce quanto sia alta la rupe e si comprende la grandiosità ingegneristica di questo monumento, nonché l’atto di fede che una tale ardita costruzione ha rappresentato per più di un millennio.

 

Francesco Dani
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